La chiesa-oratorio di S. Maria delle Grazie del Furlo e le Gallerie romane
La chiesa-oratorio di S. Maria delle Grazie si distingue da subito per i diversi modi con cui viene chiamata a partire dalla titolazione “ufficiale” «Maria Mater Gratiae», scritta sull’altare; è anche nota, difatti, nei documenti quanto nella tradizione popolare, come Madonna delle Grazie, cappella di S. Maria, Beata Vergine del Furlo, Madonna del Furlo o della Botte. Queste ultime denominazioni derivano dal sito particolare in cui sorge, la gola del Furlo, “un’opera mirabile della natura’
La chiesetta e la gola che l’accoglie costituiscono un binomio inscindibile di cui si perdono i confini, i limiti tra natura e architettura con il piccolo edificio quasi emanazione dell’ambiente circostante ed eretto sull’antico piano stradale della via Flaminia, nell’area dei trafori romani, adattandolo ad una precedente costruzione. L’intervento dell’uomo risulta particolarmente consistente nei punti in cui il percorso viario doveva superare i numerosi ostacoli naturali; ne consegue la costruzione durante i secoli di poderose opere artificiali per rendere la strada transitabile, diremmo le strade, i percorsi: dalle piste preistoriche, originate anche dalla transumanza stagionale del bestiame verso i pascoli appenninici, ai percorsi di epoca preromana quando il Furlo rappresenta per chi proviene da Roma il passaggio più breve attraverso l’Appennino in direzione dei territori di nord-est; infine, la romanizzazione dopo la battaglia di Sentino (295 a.C.) e la fondazione (268 a.C.) di Ariminum (Rimini) quando attorno al 220 a.C. viene dato un assetto organico alla via consolare Flaminia, che viene ad assolvere anche l’importante ruolo di “strada militare” nel corso della guerra annibalica specie con la battaglia del Metauro (207 a.C.).
Lungo questo tratto, gli interventi succedutisi sono ancora riconoscibili nel percorso ondulato e serpeggiante, sopraelevato di circa trenta metri dal letto del fiume, una quota di sicurezza ottenuta talvolta mediante poderosi tagli del costone di roccia, in altri casi con la costruzione di lunghi muri di terrazzamento e infine con l’impegnativo scavo di due gallerie: le fasi costruttive più significative sono la prima apertura della via di Gaio Flaminio, la sua generale ristrutturazione voluta da Augusto e l’intervento risolutivo attuato sotto Vespasiano.
La Flaminia, nei circa tre chilometri di strettoia corre sempre a mezza costa e lungo l’intero percorso ha reso pertanto necessari tagli della parete di roccia e muri di sostegno per ricavare il piano di transito; verso le estremità nord-orientale, la gola si restringe ulteriormente e presenta uno sperone del monte Pietralata che scende a picco fino al letto del fiume. E ’possibile quindi riconoscere in un tratto di circa trecento metri una serie di interventi prodotti dall’uomo in momenti diversi, che si possono disporre in successione cronologica anche grazie ad una pianta in scala del 1720 nella quale è individuabile la fase originaria della Flaminia e la chiesa di S. Maria delle Grazie.
Sono ancora ben leggibili sul piano di roccia i solchi di carreggiata, provocati dalle ruote dei carri che per circa due secoli con duplice senso di marcia hanno percorso questa parte di via. Diverse analoghe sostruzioni conservate lungo la gola appartengono al programma di riassetto di età augustea: alla fine dell’Ottocento i muri antichi superstiti alti 8-10 metri avevano uno sviluppo totale di 506 oltre ad altri 424 metri attribuiti all’epoca successiva. Al pari del muro di terrazzamento attiguo, che ne rafforza la struttura, probabilmente a rischio, situata al margine del dirupo, si ritiene che anche la Galleria piccola sia dovuta ad un intervento di emergenza, valutandone l’aspetto, conformata in modo tutt’altro che regolare e considerate le dimensioni, appena idonea a permettere il passaggio di un carro alla volta. La lunghezza del passaggio è di circa otto metri, la larghezza in media è di 3,30 e nel punto massimo l’altezza è di 4,45; la stessa irregolarità riscontrata nelle misure può essere notata anche nel sesto della volta.
Questo ridotto e forse precario traforo viene a costituire una sorta di by-pass, che consente uno stretto passaggio di emergenza alla via Flaminia per aggirare lo scosceso costone di rupe, pur se la tradizione locale la ritiene opera degli Umbri o di altri popoli primitivi (LUNI 1993) o degli Etruschi. L’ipotesi per la sua datazione non può avvalersi di elementi certi anche se l’epoca di apertura viene collocata tra la l’attigua poderosa sostruzione di età augustea e la grande galleria aperta all’epoca di Vespasiano, dovuta anch’essa ad un nuovo cedimento del piano stradale.
Si può notare oltre l’estremità della “cappella di S. Maria”, verso Est, una consistente lacuna nel costone della rupe dovuta ad un’antica frana; l’originaria sede stradale si era ridotta ad uno stretto sentiero, che rendeva difficoltoso l’attraversamento della gola. Una notizia che emerge dalle fonti supporta tali condizioni: nel 69 d.C., è noto che le truppe dell’imperatore Vespasiano in lotta contro Vitellio restarono bloccate a Fanum Fortunae per un certo tempo perché la Flaminia nelle vicine impervie gole non era sicura tanto che Vespasiano qualche anno dopo risolve il problema facendo aprire la Galleria grande nel contesto del più ampio intervento di ristrutturazione della importante via.
Con il nuovo traforo è stato definitivamente abbandonato l’originario tracciato della via, che aggirava per intero la rupe; la data comunemente proposta è il 76 d.C. da riferire al completamento della galleria certamente iniziata prima di quell’anno; la sua lunghezza risulta circa 38 metri, la larghezza oscilla da 5,47 al centro a 5,35 sul lato verso Cagli, a 5,23 sull’imboccatura verso Fossombrone.