L’antica “Tifernum Mataurense”, la città della Domus del Mito, Capoluogo della Massa Trabaria
Circondata dal verde intenso dell’amena e feconda valle del Metauro, Sant’ Angelo in Vado si trova non lontano dalla catena montuosa dell’Appennino che separa tra loro Marche, Umbria e Toscana.
Sant’Angelo in Vado sorge sulle rovine dell’antica Tifernum Mataurense; il nome di questo antico municipio romano è menzionato da Plinio il Vecchio e da Tolomeo e ricorre in varie epigrafi in parte conservate nel Museo Archeologico. Il municipio romano affonda le sue più remote radici nella cultura preistorica e protostorica.
Le più antiche testimonianze di un insediamento dell’età del ferro, segnalato da resti di capanne, sono state recentemente individuate in diversi punti del territorio comunale.
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visitsantangeloinvado.it
Sant’Angelo in Vado nell’Alta Valle del Metauro
Per saperne di più su Sant’Angelo in Vado
La città romana sorgeva su un ampio terrazzo fluviale della sponda destra del Metauro (a circa 360 metri s.l.m.), nel punto in cui quest’ultimo riceve le acque del torrente Morsina, affluente di destra, sicché il sito sui due lati appariva difeso per natura.
Lo studio della pianta della Tifernum, ricostruita in base alle informazioni ottenute con le operazioni di scavo e con le recenti interpretazioni aereofotografiche, porta alla constatazione che la città aveva forma quadrata, con i classici cardo e decumano che si incrociavano nella piazza principale.
Oggi presso Campo della Pieve è stata ritrovata anche una “domus” gentilizia romana del I° secolo d.C. interamente ricoperta di mosaici policromi che coprono una superficie di ben 1000 metri quadrati.
E’ stata battezzata “Domus del Mito” in virtù delle numerose interpretazioni mitologiche presenti nei tappeti musivi. Si tratta del più cospicuo rinvenimento archeologico dell’Italia Centrale degli ultimi 50 anni
Dopo l’avvento del cristianesimo, si ritiene che Tifernum divenne sede vescovile. La lunga guerra tra Bizantini ed Ostrogoti (VI secolo) interessò anche il territorio della Tifernum Mataurense che subì la totale distruzione nella fase finale della guerra combattuta da Narsete contro Totila
I Longobardi ricostruirono il nuovo abitato sulle rovine della città romana quasi completamente ricoperte dai terreni alluvionali e lo dedicarono all’arcangelo Michele, di qui il nome di Sant’Angelo.
La seconda parte del nome “in Vado” fu aggiunta successivamente e sarebbe da attribuire all’attività produttiva e commerciale legata alla coltivazione di una pianta tintoria denominata “guado” (Isatis Tinctoria); una pianta crocifera dalla quale, attraverso un opportuno procedimento, si estraeva il colore azzurro molto ricercato e prezioso che veniva utilizzato in pittura (Piero della Francesca) e nella tintura dei tessuti.
Sullo scorcio del Medio Evo Sant’Angelo in Vado fu capoluogo della Massa Trabaria, Provincia forestale dello Stato della Chiesa e antica regione appenninica composta da parti delle Marche, della Romagna, dell’Umbria e della Toscana, che a est giungeva sino al Monte Carpegna, a nord e a sud era formata dalle alte valli del Marecchia, a ovest comprendeva il rilievo dell’Alpe della Luna fino a Sansepolcro e a sud raggiungeva il massiccio del Catria.
Dalla seconda metà del XIV secolo Sant’Angelo in Vado divenne feudo della famiglia Brancaleoni e tale rimase sino al 1437, quando, in seguito al matrimonio di Gentile Brancaleoni e Federico da Montefeltro, passò sotto il ducato di Urbino che gli seppe riconoscere una sua indipendenza. La dominazione Montefeltrina durò sino al 1631, anno della morte del duca Francesco Maria II Della Rovere, con la conseguente annessione del territorio da parte dello Stato Pontificio che lo incluse nella legazione di Pesaro e Urbino
Nel 1636 Papa Urbano VIII elevò Sant’Angelo al rango di “Città” e la promosse a Diocesi e tale è rimasta fino alla riforma del 1986.
Nel luglio del 1849 di qui passò Giuseppe Garibaldi in fuga dopo la caduta della Repubblica Romana.
Nel 1860-61 viene a far parte del Regno d’Italia.